Citazioni di Luigi Anepeta

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La virtù, spesso, è un surrogato di viltà.
Almeno in democrazia, la responsabilità dei capi ricade in parte anche sui cittadini che li eleggono.
Nelle relazioni interpersonali si danno anche comunicazioni da incoscio a inconscio. (da "Star male di testa")
Jung, nello sforzo di differenziare il suo sistema da quello freudiano, ignora praticamente il concetto di Super-Io.
i sintomi psichiatrici sono espressivi di una dissociazione e di una "alienazione" dei bisogni fondamentali dovuta all'interazione con l'ambiente
I diritti individuali non possono essere annullati a favore dei doveri sociali, se non al prezzo di conseguenze nevrotiche. (da "Star male di testa")
...viviamo in una società tecnologicamente avanzata e psicologicamente handicappata, economicamente ricca e umanamente miserabile... (da "Star male di testa")
La potenza del super-io ha rapporto con la sensibilità su cui si impianta. Laddove trova terreno fertile, è capace di fare disastri. (da "Star male di testa")
Con la teoria dell’Altro interiorizzato, che illumina la scoperta del Super-Io freudiano, Mead ha fornito alla teoria della personalità un contributo di estremo rilievo.
L’uomo è, per natura, un essere sociale ed empatico che può esser indotto dalle circostanze culturali e ambientali ad agire in maniera insensibile, cinica e anche spietata.
La depressione, in sé e per sé, è un blackout che si realizza in conseguenza o di eccessive richieste di prestazioni o di un corto circuito conflittuale. (da "Star male di testa")
Sentirsi ed essere riconosciuti come normali per molte persone è un obiettivo primario, che viene raggiunto senza sforzo sulla base dell’accettazione del come si deve essere in una determinata società.
Il mancato riconoscimento, sinora, delle dinamiche opposizionistiche e dell'attività inconscia dell'io antitetico, grava come un macigno sulla pratica psichiatrica e psicoterapeutica. (da "Star male di testa")
Stare sotto il fuoco incrociato di due binocoli usati l’uno per diritto, l’altro per rovescio. Confondersi con le loro immagini. E infine, perduto il senso delle proporzioni, non sapere più come si è fatti.
Il carattere sperimentale della specie umana non va mai ignorato perché esso significa, né più né meno, che l’uomo sta ancora tentando di capire come è fatto, quali sono i suoi bisogni e quale sia il modo migliore di vivere.
Chi giudica, quasi sempre, non ha consapevolezza che i presupposti da cui muove il suo giudizio sono finalizzati non già a capire l’umano nella sua complessità bensì piuttosto a convalidare la visione del mondo cui essi fanno capo.
Ogni esperienza di disagio psichico è riconducibile ad un conflitto strutturale tra appartenenza e individuazione, vale a dire tra doveri sociali e diritti individuali rappresentati a livello conscio e, più intensamente, a livello inconscio.
Se un soggetto femminile, a livello inconscio, ha un'immagine negativa di sé tale per cui ritiene di non essere amabile, e dunque di non potere essere amata, neppure il padreterno può riuscire a farle cambiare idea. (da "Star male di testa")
Il raccogliersi dentro di sé è il primum movens della liberazione dei condizionamenti sociali. Chi riesce a stare solo è spinto immediatamente a capire quanto è assurdo, disumano e incivile il way-of-life quotidiano. (da "Star male di testa")
Una sorta di maledizione che grava sulla specie umana è che noi siamo costretti ad usare quotidianamente un mirabile e complesso congegno prodotto dall’evoluzione naturale, che è stato impiantato nella nostra testa senza il libretto delle istruzioni.
L'inconscio umano che, rispetto alla coscienza, è sempre più fedele ai bisogni sui quali si costruisce la personalità, nutre costantemente una duplice ossessione: l'appartenenza ad un gruppo e ad un ordine culturale, e la libertà individuale. (da "Star male di testa")
L’empatia può essere inibita nel suo sviluppo e addirittura rimossa dall’interazione con un ambiente culturale che la squalifica come una pericolosa debolezza in rapporto ad una società che impone di pensare a sé e, quando è necessario, di essere anche “cattivi”
Incapaci di comprendermi, danno credito alle diagnosi degli infiniti psichiatri da cui mi hanno fatto visitare che, prezzolati, fanno riferimento ad una malattia genetica che li mette al riparo dal prendere atto di essersi imbarcati in un’impresa superiore alle loro forze.
Data la complessità dell’apparato mentale umano, sembra piuttosto che la felicità, intesa come espressione soggettiva di uno stato di attivazione del sistema endorfinico, dipenda dall’insieme dei rapporti che il soggetto intrattiene con il mondo e dall’uso attivo delle sue potenzialità.
[Occorre passare] dall’intolleranza interiore nei confronti degli altri e di sé alla pietas, ad uno sguardo cioè che ci restituisce, dentro e fuori di noi, l’umanità come una specie maldestra che, ossessionata dalla paura e dal dolore, adotta quasi costantemente rimedi che sono peggiori del male.
Per effetto dei meccanismi difensivi [...] ogni coscienza ha una macula cieca, più o meno estesa, che impedisce di vedere quello che il soggetto non intende vedere o perché lo infastidisce sul piano personale o perché mette in gioco la visione del mondo che egli condivide con gli altri e che lo fa sentire normale.
Tranne i casi in cui è compromessa la capacità di intendere e di volere, gli uomini in genere (ma neppure sempre) sanno quello che fanno. Solo raramente, però, conoscono le motivazioni che sottendono i loro comportamenti e, dato che tendono a giustificarli, raramente valutano appieno le conseguenze di essi a carico degli altri.
Mettere in discussione il libero arbitrio è una provocazione intollerabile per la nostra cultura, non solo perché, come accennato, su di esso si fonda l’attribuzione sociale e penale di responsabilità, ma soprattutto perché, mettendolo in discussione, il concetto stesso di individuo dotato di volontà propria andrebbe riformulato.
Ho espresso più volte l’opinione che, dato un corredo genetico di base che comporta un grado di empatia diverso da soggetto a soggetto, ma universalmente presente, se l’uomo rimanesse a contatto con questa emozione, egli non potrebbe danneggiare il simile - maltrattarlo, umiliarlo, sfruttarlo, aggredirlo, torturarlo e togliergli la vita.
Molti adolescenti introversi che si dedicano alla cultura sentono di comunicare con mondi di esperienza soggettivi che capiscono intuitivamente. Il loro isolamento sociale attesta dunque un bisogno di socialità intenso ma qualitativamente elevato, troppo diverso rispetto alla media dei coetanei e spesso degli adulti. (da "Star male di testa")
La panantropologia è un modello antropologico che integra biologia, psicologia, psicoanalisi, sociologia e storia sociale, e allude alla possibilità che si realizzi un salto di Civiltà, atto a promuovere la formazione e l’azione di esseri consapevoli, critici e perpetuamente impegnati nel compito di migliorare se stessi e lo stato di cose esistente nel mondo.
Ancora oggi l’umanità sembra molto lontana da una condizione di equilibrio sociale, economico, culturale e psicosomatico, com’è attestato, al di là delle guerre e delle violenze, da una quota di sofferenza che nei paesi avanzati o emergenti è prevalentemente psico-somatica (ansia, depressione, ecc.), negli altri somato-psichica (fame, miseria, ecc.). (da "Il mostro di belle speranze")
L’indipendenza psicologica, dunque, per essere autentica richiede, per un verso, di farsi carico dei contenuti propri dell’ansia esistenziale (vulnerabilità, precarietà, finitezza) e, per un altro, di acquisire una capacità critica che consenta di non cadere nella trappola dell’essere come gli altri vogliono laddove questo non corrisponde ad un libero consenso, ma solo alla paura del giudizio sociale.
Nietzsche, in conseguenza del demone della sua genialità, è fieramente avverso a qualunque forma di egualitarismo di stampo cristiano, borghese o socialista. Egli sa che, essendo ogni individuo unico e irripetibile, le potenzialità emozionali e intellettive sono distribuite secondo uno spettro che comporta, in una minoranza di soggetti iperdotati, una sorta di incompatibilità con qualsivoglia codice normativo.
Razionalizzazione. Con questo termine, E. Jones ha indicato le procedure con cui un soggetto cerca di dare una spiegazione che risulti coerente sul piano logico e accettabile sul piano morale di un sentimento, di un’azione, di una condotta di cui non vuole scorgere le motivazioni profonde. La razionalizzazione è dipendente dalle ideologie di riferimento, e realizza, con esse, una miscela tossica di mistificazione.
Nessun animale si commuove guardando il cielo stellato o un paesaggio dall’alto di un colle, si esalta in seguito ad un successo, sviluppa la paura infinita del panico, sacrifica la sua vita per una causa giusta, si uccide per una delusione amorosa, si arrabbia al punto di sopprimere un simile, ecc. Fenomeni di questo genere vengono fatti rientrare nel quadro delle emozioni complesse, influenzate dalla cultura, o tout-court nell’ambito della patologia.
Posto che due esseri umani accettino la loro umana debolezza, precarietà e finitezza, mettendola in comune possono giungere a sentirsi entrambi più forti. E non solo perché possono aiuarsi nei momenti di difficoltà. Se avviene all'insegna del volersi bene, quella messa in comune realizza un altro effetto straordinario. Le persone possono giungersi ad esporsi l'una all'altra senza difese e a sentire che nessuno dei due ne approfitterà. (da "Star male di testa")
Dalla comparsa della specie umana (circa 200mila anni fa) sino ad un'epoca relativamente recente (qualche migliaio di anni fa), l'uomo è vissuto in una condizione di totale subordinazione al gruppo di appartenenza tal che egli concepiva se stesso solo in funzione del gruppo stesso. Questa sterminatamente lunga esperienza di socializzazione radicale ha impregnato la falda più profonda dell'inconscio, laddove vige ancora oggi il primato del sociale sull'individuo, vale a dire dei molti sull'uno.
I neuroni specchio rappresentano con ogni probabilità la matrice dell’istinto gregario (che Nietzsche ha stigmatizzato parlando sprezzantemente dell’istinto del gregge), vale a dire della tendenza di gran parte degli esseri umani a conformare il loro comportamento a quello prevalente nella maggioranza con cui
interagiscono: a rispettare dunque passivamente le tradizioni, i costumi, le mode. Questo pericolo, nel nostro mondo, sembra realizzarsi in maniera massiccia, seppure diversa, in tutte le fasce di età.
Solitamente la società utilizza il bisogno di appartenenza per indurre processi di normalizzazione conformistica, riferiti a valori che possono anche essere mediocri ma raramente sono disumani. In particolari situazioni la spinta conformistica avviene, però, sulla base di valori culturali o ideologici che comportano il sacrificio dell’empatia sull’altare di essi. Il peso che il bisogno di appartenenza esercita a livello inconscio è effettivamente l’indizio di una sostanziale vulnerabilità degli esseri umani alle influenze ambientali.
Nell'esplorazione dell'apparato mentale umano, Freud è partito dall'intuizione che, al di sotto della coscienza, si dà una vivacissima attività mentale, rispetto alla quale l'Io rimane schermato in virtù di processi di rimozione e di repressione. La schermatura non solo consente all'Io di non stare perpetuamente a contatto con l'inconscio: essa favorisce anche la costruzione di un'immagine di sé tendenzialmente mistificata, che tiene conto solo di alcuni aspetti del modo di essere del soggetto e ne trascura altri (contraddittori, inquietanti o spiacevoli).
L'attenzione selettiva è un meccanismo che agisce in parte a livello cosciente e in parte a livello inconscio. Esso fa sì che, investito dal flusso delle informazioni, un soggetto, dotato di una sua visione del mondo, seleziona e acquisisce quelle che la confermano, mentre trascura o rimuove quelle che la contraddicono. In virtù dell'attenzione selettiva, ogni individuo giunge a credere che la sua visione del mondo è corroborata da troppe prove tratte dall'esperienza reale per poter essere messa in discussione. In realtà essa può essere anche del tutto mistificata.
Il soggetto introverso ha una vocazione primaria a capire il mondo nella sua complessità: è un "filosofo" o un “mistico" di professione, avulso per alcuni aspetti dal quotidiano, dal tran-tran del vivere come si deve vivere.
L'intuizione emozionale dei mondi e dei modi di essere possibili lo rende, per un lungo periodo, poco adattivo nei confronti dell'esistente, del senso comune.
Che questa predisposizione evolva in senso positivo, di realizzazione delle potenzialità individuali, o negativo, di sviluppo “nevrotico", sembra in gran parte riconducibile alle circostanze ambientali.
...i sintomi prodotti dal super-io limitano la libertà personale, accrescono la dipendenza relazionale e attivano le emozioni sociali (vergogna, scrupolosità, senso di colpa); quelli prodotti dall'io antitetico viceversa rivendicano una maggiore l'ibertà (dall'opposizionismo - la tendenza a boicottare i doveri - al negativismo - la tendenza a fare il contrario di ciò che si dovrebbe fare), tendono a ridurre la dipendenza nella direzione dell'autosufficienza (del non avere bisogno di niente e di nessuno), e anestetizzano la sensibilità sociale fino al limite del cinismo. (da "Star male di testa")
Data l’importanza delle emozioni complesse e dei sentimenti, ci si aspetterebbe di trovare nei Manuali di Psicologia uno o più capitoli dedicati ad essi. Invece dall’emozione si passa alla motivazione, altro argomento piuttosto ostico per la Psicologia, e il discorso si conclude.
Se si tiene conto che l’Emozionalità, in tutta la gamma delle sue espressioni, è il tessuto connettivo dell’esperienza umana, e che essa, particolarmente a livello inconscio, anticipa il capire e lo sottende, non ci vuole molto a comprendere perché, ancora oggi, si può ritenere la Psicologia una disciplina, se non sterile, molto distante dall’essere minimamente adeguata al suo “oggetto”.
Ho stigmatizzato da tempo il dato comune a tutte le scienze umane e sociali, vale a dire l'imperialismo per cui ciascuna di esse - e in particolare la psicologia, la sociologia e l'antropologia culturale - presume di essere depositaria della giusta metodologia e delle chiavi esplicative dei fenomeni umani. L'imperialismo è solo l'indizio della fragilità di queste discipline che tendono ad avallarsi come scienze, mentre sono ancora e solo saperi contrassegnati, tra l'altro, proprio in conseguenza della loro pretesa totalizzante, da indefinite contraddizioni. L'impasse penso che potrà essere superato solo in virtù di una nuova disciplina, che da tempo definisco panantropologia, che integri tutte le discipline che hanno qualcosa da dire sull'uomo e i fatti umani (dalla genetica e dalla neurobiologia alla storia sociale)
Per bisogni intrinseci, nell’ottica struttural-dialettica, si intendono programmi psicobiologici, geneticamente predisposti, il cui dispiegamento, nell’interazione con l’ambiente socio-culturale, determina lo sviluppo dell’infrastruttura dinamica della personalità.I bisogni intrinseci sono il bisogno di appartenenza/integrazione sociale e il bisogno di opposizione/individuazione.Il primo, creando una relazione significativa con il mondo umano, consente l’interiorizzazione dei sistemi di valore culturali propri del gruppo di appartenenza e l’acquisizione del senso comune che portano l’individuo ad agire comportamenti riconosciuti come normali nel suo contesto socio-storico.Il secondo, a partire da una certa epoca dello sviluppo, promuove un lento processo di differenziazione della personalità che, in virtù della crisi adolescenziale, consente di raggiungere un certo grado di libertà e di autonomia personale.
Il filtro [sensoriale] seleziona le informazioni nei termini in cui esse sono compatibili con la visione del mondo già acquisita. Le informazioni poco o punto incompatibili, che potrebbero creare una situazione di dissonanza cognitiva o emotiva, vengono rimosse. La coscienza ha, dunque, un funzionamento suo proprio che tende alla semplificazione dei dati esterni (che provengono da una realtà infinitamente complessa) e dei dati interni (che provengono da un inconscio ridondante). La tendenza alla semplificazione è funzionale al fatto che l’individuo senta di avere un certo orientamento nel mondo e una certa padronanza su di esso. È una funzione, dunque utile, perché se la coscienza fosse sempre consapevole della complessità del mondo esterno e di quello interno sarebbe inesorabilmente esitante e smarrita. La semplificazione, però, quando è agevolata dal senso comune, dalla cultura corrente e dall'ideologia dominante, giunge facilmente a determinare uno stato di coscienza alienato o mistificato.
Anche se la quantificazione del rapporto tra coscienza e inconscio non può essere oggettivamente convalidata, tutti gli studiosi sono d'accordo sul fatto che la coscienza rappresenta non più del 20% dell'attività mentale complessiva.
Questo limite strutturale, reso necessario dal fatto che se la coscienza fosse totalmente trasparente e invasa dall'attività mentale interiore, un soggetto vivrebbe in uno stato di confusione perpetua o, addirittura, morirebbe rapidamente per intossicazione informazionale, non va drammatizzato. Nulla, infatti, sulla carta vieta di pensare che anche una percezione parziale della propria attività mentale potrebbe essere autentica, cogliere cioè l'essenziale del mondo interiore.
Nella realtà, però, questa possibilità si realizza solo eccezionalmente. Il più spesso infatti ciò che avviene è che l'io cosciente, in nome del suo bisogno supremo di unità, di coesione e di coerenza, adotta meccanismi di repressione e di rimozione nei confronti di tutti gli aspetti interni contraddittori, quindi costruisce un'immagine di sé unitaria che è falsificata.
La malattia mentale, qualunque forma essa esprima, è la somma di una duplice alienazione: l'alienazione dei bisogni fondamentali prodottasi in virtù dell'interazione del soggetto con l'ambiente vissuto, e l'alienazione di quella alienazione dovuta all'organizzazione dell'esperienza concreta alla luce di codici astratti. Questo processo storico è celato per un verso dalla rimozione, meccanismo che estranea alla coscienza la concretezza della sua esperienza vissuta, e, per un altro, dall'ideologizzazione, che restituisce al soggetto quell'esperienza in una forma mitica che sembra comportare facili soluzioni dell'alienazione dei bisogni sotto forma di scissione, che lo illude letteralmente di poter pervenire alla liberazione di sé con un colpo di dadi.

Tra il funzionamento delle strutture sociali deputate alla produzione di uomini e il funzionamento dei codici mentali che propongono, in forma astratta, valori e modelli normativi, c'e dunque un nesso complementare che diventa trasparente nelle esperienze di disagio psichico: il nesso consiste nella tendenza dei codici mentali ad occultare le disfunzioni delle strutture sociali, offrendo agli uomini il miraggio di una normalità che ciascuno può e deve perseguire con le proprie forze, in misura del tutto indipendente dall'economia storica degli scambi con la realtà.
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