Tutti coloro che prendono seriamente se stessi e la vita, vogliono stare soli, ogni tanto. ... Il desiderio di una solitudine significativa non è in alcun modo nevrotico; al contrario, la maggior parte dei nevrotici rifugge dalle proprie profondità interiori.
La solitudine è per me una fonte di guarigione che rende la mia vita degna di essere vissuta. Il parlare è spesso un tormento per me e ho bisogno di molti giorni di silenzio per ricoverarmi dalla futilità delle parole.
Per questo me ne vado nella solitudine, per non bere nelle cisterne di tutti. In mezzo a molti io vivo come molti e non penso con il mio io: dopo qualche tempo mi accade sempre, come se mi si volesse esiliare da me stesso e derubare l'anima, e me la prendo con tutti e temo tutti. Il deserto mi è allora necessario per ridiventare buono.
Per diventare scrittore pazienza e fatica non bastano: si deve anzitutto provare l'impulso irresistibile a fuggire la gente, la compagnia, la quotidianità, e a chiudersi in una stanza.
La mia solitudine non dipende dalla presenza o assenza di persone; al contrario, io odio chi ruba la mia solitudine, senza, in cambio, offrirmi una vera compagnia.
La solitudine è una medicina da prendere a dosi che non vanno superate, pena l'emarginazione. Ognuno può permettersi dosi più o meno forti, a seconda delle proprie capacità.
Nel tumulto degli uomini e degli avvenimenti, la solitudine era la mia tentazione. Adesso è la mia compagna. Di che cos'altro accontentarsi quando si è incontrata la Storia?
Quanto più una persona è solitaria, tanto più viene vista con sospetto dalla gente comune, a causa della sua maggiore libertà dal reciproco controllo sociale.
Temperamento piuttosto incline a solitudine, inetto a cicalare con brio, alieno dalla mondanità, io avvicino e frequento i miei simili con una certa fatica e una certa titubanza e con fatica i più virtuosi di essi. Davanti a chiunque rivivo gli attimi di uno scolaro all'esame. Mi diletto invece di chiare algebre alle ore di "loisir". Che non ti snervano quanto una conversazione da salotto; ove, a me, m'incorre l'obbligo di fingermi spiritoso e intelligente, non avendo né l'una né l'altra qualità.
Nelle arti, nella musica, nella filosofia e in quasi tutta la letteratura seria, la solitudine e la singolarità sono essenziali [...] Testimoniano della ricchezza estatica della solitudine. Affermano che soltanto nella solitudine austera si può percepire la pulsazione della vita nella sua vibrazione più intensa. Identificano la soledad con la possibilità stessa di travagli speculativi e costruttivi di prim'ordine. Come vedremo, è questa la convinzione, spesso ribadita, di Montaigne nella sua torre; ed è quella dello Zarathustra di Nietzsche nella solitudine accecante del sole di mezzogiorno.
Tutti coloro che prendono seriamente se stessi e la vita, vogliono stare soli, ogni tanto. La nostra civiltà ci ha così coinvolti negli aspetti esteriori della vita, che poco ci rendiamo conto di questo bisogno, eppure la possibilità che offre, per una completa realizzazione individuale, sono state messe in rilievo dalle filosofie e dalle religioni di tutti i tempi. Il desiderio di una solitudine significativa non è in alcun modo nevrotico; al contrario, la maggior parte dei nevrotici rifugge dalle proprie profondità interiori, ed anzi, l'incapacità di una solitudine costruttiva è per se stessa un segno di nevrosi. Il desiderio di star soli è un sintomo di distacco nevrotico soltanto quando l'associarsi alla gente richiede uno sforzo insopportabile, per evitare il quale la solitudine diviene l'unico mezzo valido.
Alla mia età ho fatto il callo alla solitudine. Una solitudine, però, molto relativa, perché il lavoro riesce a riempire completamente la mia esistenza.
In ognuno, c'è qualcosa che non sarà mai compreso da nessuno. Questo qualcosa è la causa stessa della nostra solitudine, della solitudine che ci è connaturale. È questa solitudine rudimentale che dobbiamo accettare in primo luogo.
Bisogna riservarsi un retrobottega tutto nostro, del tutto indipendente, nel quale stabilire la nostra vera libertà, il nostro principale ritiro e la nostra solitudine. Là noi dobbiamo trattenerci abitualmente con noi stessi, e tanto privatamente che nessuna conversazione o comunicazione con altri vi trovi luogo; ivi discorrere e ridere come se fossimo senza moglie, senza figli e senza sostanza, senza seguito e senza servitori, affinché, quando verrà il momento di perderli, non ci riesca nuovo il farne a meno. Noi abbiamo un'anima capace di ripiegarsi in sé stessa; essa può farsi compagnia; ha i mezzi per assalire e per difendere; per ricevere e per donare; non dobbiamo temere di marcire d'ozio noioso in questa solitudine.
Penso che gli scrittori siano persone abituate alla solitudine. Infatti per scrivere bisogna essere soli, e la scrittura può essere considerata un sostitutivo virtuale di interazioni sociali reali.
Non visito, né cammino in nessuna società, né nelle stanze, né nei caffè. Farlo significherebbe sacrificare la mia unità interiore, abbandonarmi a conversazioni inutili, rubare tempo se non ai miei ragionamenti e ai miei progetti, almeno ai miei sogni, che sono sempre più belli della conversazione con qualcun altro. Lo devo all'umanità futura. Se spreco la possibile eredità divina degli uomini di domani, diminuisco la felicità che posso dare loro e diminuisco me stesso, non solo ai miei occhi reali, ma agli occhi possibili di Dio. Forse non è così, ma sento che è mio dovere crederci.
Ciò che vedeva era soltanto questo: comicità e miseria, comicità e miseria. E allora, insieme con la pena e l'orgoglio della conoscenza, venne la solitudine, perché gli riusciva intollerabile la vicinanza degli inetti con lo spirito gaiamente ottenebrato, e il marchio che lui recava sulla fronte li respingeva.
Non è parlando degli altri, ma curvandosi su di sé, che ci è possibile incontrare la Verità. Perché ogni cammino che non conduce alla nostra solitudine o non ne proceda, è deviazione, errore, perdita di tempo.
C’è una solitudine... “portatile” una convinzione così abituale della propria particolarità, un tale punto di dissomiglianza raggiunto, che l’uomo arrivato fin lì può impunemente mescolarsi al mondo, sentirsi continuamente, in mezzo agli altri, distinto da quell’uomo che offre loro, e che ogni volta non è che il loro prodotto. Un simile uomo non ha bisogno del deserto. Porta con sé, sempre a sé congiunto, l’inesistenza dei discorsi e delle opinioni altrui, dei valori dati dagli altri, e dei valori che gli altri ricevono in cambio da lui.
Dove finisce la solitudine, là comincia il mercato; e dove comincia il mercato, là comincia anche il Chiasso dei grandi commedianti e il ronzio delle mosche velenose.
È importante sapersi ritirare in se stessi: un eccessivo contatto con gli altri, spesso così dissimili da noi, disturba il nostro ordine interiore, riaccende passioni assopite, inasprisce tutto ciò che nell’animo vi è di debole o di non ancora perfettamente guarito. Vanno opportunamente alternate le due dimensioni della solitudine e della socialità: la prima ci fa farà provare nostalgia dei nostri simili, l’altra di noi stessi; in questo modo, l’una sarà proficuo rimedio dell’altra. La solitudine guarirà l’avversione alla folla, la folla cancellerà il tedio della solitudine.
Non siamo mai mentalmente soli perché anche nella solitudine la nostra mente si prepara ai prossimi incontri o scontri con gli altri. Tutto si fa per gli altri, con loro, per servirci di loro o difenderci da loro.
Ci sono persone che, se non fingessero di essere normali, sarebbero sole come cani randagi (a volte mi sento come uno di loro). Il problema è che gli "anormali" lo sono tutti in modi diversi per cui un anormale è "normalmente" incompatibile non solo con i "normali", ma anche con tutti gli altri anormali. Un'amicizia tra anormali è dunque molto improbabile, per cui essi sono condannati alla solitudine a meno che, ogni tanto, non fingano di essere normali o che la loro anormalità sia uguale a quella della persona con cui vogliono avere una relazione.
Io sono una persona che sta molto sola; delle mie sedici ore di veglia quotidiane dieci almeno sono passate in solitudine. E non potendo, dopo tutto, leggere sempre, mi diverto a costruire teorie le quali, del resto, non reggono al minimo esame critico.
Stare da soli, nel senso di "senza un legame sentimentale stabile", offre opportunità di trasformazione, di riposo, di pausa, di intraprendenza solitaria, di riflessione, di contatto nuovo con la natura e con gli altri, di rivisitazione e di messa a punto di modalità relazionali nuove, di archiviazione di vecchi modi di essere.
Condividere il tempo significa fare esperienza delle stesse cose alle stesso momento con altre persone; significa partecipare, cioè far parte, insieme ad altri, di uno stesso accadimento; significa essere in un processo insieme ad altri, non da soli. La solitudine è infatti mancanza di condivisione del tempo. L'evento che viene condiviso può essere più o meno favorevole e più o meno gradito a ciascun partecipante, per questo a volte si preferisce la solitudine nonostante il bisogno di condivisione.
Solo se hai sconfitto la paura della solitudine sarai capace di amare. Solo se ami la solitudine ogni momento vissuto con l’altro diventa una scelta d’amore.
Un individuo non è mai solo, ma è sempre interiormente e inconsciamente accompagnato da un Altro ideale, una persona che egli spera sempre di incontrare in uno o più altri individui nella vita reale.
Le persone che provano a vivere da sole non avranno successo come esseri umani. I loro cuori inaridiranno se non risponderanno ad altri cuori. Le loro menti si restringeranno se ascolteranno solo l'eco dei propri pensieri senza altra fonte d'ispirazione.
Quando un uomo sa più degli altri diventa solitario. Ma la solitudine non è necessariamente nemica dell’amicizia, perché nessuno è più sensibile alle relazioni che il solitario e l’amicizia fiorisce soltanto quando un individuo è memore della propria individualità e non si identifica più negli altri.
La nostra storia è scritta da isolati (...) San Francesco, (...) lo sdegnoso Dante (...), Leonardo, il genio che anticipa il futuro, pensa che per essere veramente se stessi bisogna essere soli (...) Colombo (...) Galileo rivoluziona la conoscenza dell'universo (...) Goldoni (...) Pirandello.
Un uomo che non sa stare in compagnia di se stesso per 7 gg, senza distrazioni, amici, cinemini, feste... deve avere qualche problema da risolvere. Chi sta benissimo in questa condizione per più di 7 gg... ne avrà sicuramente di più gravi.