La diversità delle culture umane non deve invitarci ad un'osservazione spezzettante o spezzettata. Essa è funzionale non tanto all'isolamento dei gruppi quanto delle relazioni che le uniscono.
L'uomo deve rendersi conto che occupa nel creato uno spazio infinitamente piccolo e che nessuna delle sue invenzioni estetiche può competere con un minerale, un insetto o un fiore. Un uccello, uno scarabeo o una farfalla meritano la stessa fervida attenzione di un quadro di Tiziano o del Tintoretto, ma noi abbiamo dimenticato come guardare.
Verrà un giorno in cui l'idea che per nutrirsi gli uomini del passato allevavano e massacravano degli esseri viventi, mettendo in mostra nelle vetrine le loro carni dilaniate, ispirerà senza dubbio la stessa repulsione provata dai viaggiatori del XVII e XVIII secolo nei confronti dei pasti cannibalici dei selvaggi americani, africani, o dell'Oceania.
[…] il rispetto altrui conosce un solo fondamento naturale […] che Rousseau scorge, nell'uomo, in «una ripugnanza innata a veder soffrire il suo simile» […]. Infatti l'unica speranza, per ognuno di noi, di non essere trattato da bestia dai suoi simili, sta nel fatto che tutti i suoi simili, e lui per primo, si colgano immediatamente come esseri sofferenti, e coltivino nell'intimo quella attitudine alla pietà che, nello stato di natura, tiene luogo «di legge, di costumi, e di virtù», e senza il cui esercizio cominciamo a capire che, nello stato di società, non può esserci né legge, né costumi, né virtù. Lungi dall'offrirsi all'uomo come un nostalgico rifugio, l'identificazione a tutte le forme della vita, a cominciare dalle più umili, propone dunque all'umanità d'oggi, per bocca di Rousseau, il principio di ogni saggezza e di ogni azione collettiva […].