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Se proprio vogliamo parlare di essere (o di Essere), io chiedo: quali sono le sue conseguenze? Infatti l’essere esiste solo se ha conseguenze, cioè effetti, implicazioni, relazioni, funzioni, interazioni. In altre parole, un essere che non ha nessuna di tutte queste cose non esiste, o è, a tutti gli effetti, come se non esistesse.
 
Io esisto solo in relazione a qualcos'altro.
 
Se sostituissimo sempre il verbo «essere» (in senso identitario) con il verbo «consistere in», forse i nostri discorsi diventerebbero più chiari e più pragmatici. Proviamo dunque, invece di dire "cosa è X"? a dire: "in cosa consiste X?"
 
Il verbo più usato è «essere», ma pochi sanno cosa significhi e cosa implichi.
 
L'essere è il soggetto del fare. Un essere che non faccia nulla non esiste in quanto non ha effetti, ovvero non causa differenze. Un essere si caratterizza dal suo fare, dagli effetti del suo fare (cioè dalle differenze che causa), e dalla sua forma. Anche le forme hanno effetti in quanto informano, e le informazioni causano differenze. Dunque non chiedere cosa una cosa sia, ma cosa faccia, che forme abbia e quali differenze causi.
 
L'essere, cioè il fatto di essere qualcosa, è sempre relativo ad altri o ad altre cose. Infatti "essere" è sempre essere-per-qualcuno o essere-per-qualcosa. Essere per se stessi non significa nulla, anche perché nulla esiste che non interagisca con qualcos'altro e nessun essere (vivente o non vivente) è indipendente dall'ambiente in cui vive, se non altro per la forza di gravità. Comunque, "essere" ed "esistere" sono sinonimi.
 
Siamo sistemi viventi senzienti costituiti da sistemi più piccoli, e parti di sistemi più grandi.
 
Rappresentare non significa essere.
 
L'essere, in senso identitario, è sempre relativo. Infatti nessuno è la stessa cosa per tutti.
 
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