Citazioni su Soziale identität

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Ogni cosa che un umano fa può servire a confermare, affermare, negare o rinnegare una certa identità sociale.
 
Ogni giorno recitiamo il personaggio che il nostro codice genetico, le nostre esperienze e la società hanno scelto per noi.
 
Ogni gesto denota certe appartenenze.
 
Ogni essere umano vorrebbe essere un certo tipo di persona perché inconsciamente crede che essere quel tipo umano gli permetterà di fare parte di una comunità a lui favorevole, e il non esserlo glielo impedirà.
 
All'inizio, l'uomo esiste, si alza e compare sulla scena, solo in seguito definisce se stesso.
 
Bisogna educare i giovani a essere se stessi, assolutamente se stessi. Questa è la forza d'animo. Ma per essere se stessi occorre accogliere a braccia aperte la propria ombra.
 
Il verbo essere è uno strumento scritto nel nostro DNA, infatti lo troviamo in ogni lingua umana. Grazie ad esso possiamo consciamente o inconsciamente costruire delle identità (o equazioni), dotarle di significati, riconoscerle e comportarci di conseguenza, anche se spesso si tratta di equazioni erronee.
 
Che cosa dice la tua coscienza? Devi diventare quello che sei.
 
Tutto ciò che facciamo e non facciamo, diciamo e non diciamo, pensiamo e non pensiamo, conosciamo e non conosciamo, sentiamo e non sentiamo, desideriamo e non desideriamo, ci qualifica socialmente.
 
Io sono ciò che ho.
 
Ho fatto cose che oggi non farei, ho detto cose che oggi non direi, ho pensato cose che oggi non penserei, farò cose che oggi non farei, dirò cose che oggi non direi, penserò cose che oggi non penserei. La mia identità è cambiata e continuerà a cambiare.
 
L'identità si costruisce attraverso l'alterità.
 
L'identità è un'illusione.
 
Essere significa appartenere e possedere.
 
Ognuno è il suo corpo, la sua storia e i modi in cui è capito e valutato dagli altri.
 
Appartengo, dunque sono.
 
Non ha senso chiedersi: Chi sono? Cosa sono? Mentre ha senso chiedersi: Chi/cosa sono io per gli altri? E più precisamente: Chi/cosa sono io per X? Per Y? Per Z? Ecc. E poi: Chi/cosa sono gli altri per me?
 
Essere autentici richiede il coraggio di mostrarsi come si è, non come si dovrebbe o vorrebbe essere.
 
Nel mondo tutti recitiamo una parte, basta vedere come ci presentiamo in pubblico e come in privato per convenire che siamo tutti degli impostori.
 
Il motivo per cui gli umani cercano di possedere e guadagnare più denaro possibile, anche oltre il necessario, è che il denaro, oltre a permetterci di comprare cose di cui abbiamo bisogno, è considerato da molti una prova e dimostrazione di potere, valore, merito, intelligenza, capacità e per alcuni perfino di grazia di Dio.
 
Noi diventiamo ciò che siamo solo col radicale e profondamente insito rifiuto di ciò che gli altri hanno fatto di noi.
 
Dimmi di cosa ti piace parlare e ti dirò chi sei.
 
Dimmi cosa pensi di essere e ti dirò cosa non sei.
 
Ci sono più copie che originali tra gli esseri umani.
 
La soggettività si forma nel rapporto con gli altri.
 
L'acquisto o la consumazione di certi beni e servizi caratteristici di una certa cultura possono costituire riti di appartenenza e identificatori sociali. Per questo essi possono risultare particolarmente attraenti.
 
Noi vogliamo inconsciamente essere come ci vogliono le persone da cui la nostra vita dipende, cioè quelle di cui abbiamo bisogno (materialmente o come guide o modelli) per vivere.
 
Ogni cosa che facciamo e che non facciamo ci qualifica socialmente.
 
Non si recita per guadagnarsi la vita: si recita per mentire, per essere quello che non si può essere, e perché si è stufi di essere quello che si è.
 
Per poter interagire con qualcuno non è possibile essere qualsiasi cosa, avere qualsiasi identità e natura, essere se stessi liberamente, ma è indispensabile avere una identità, ovvero un insieme di caratteristiche, compatibile con le aspettative e le esigenze dell'altro.
 
Sin da quando siamo nati ci hanno insegnato che apparire è più importante che essere. E a questo dogma terribile abbiamo sacrificato il nostro corpo, incaricandolo di rappresentare quello che propriamente non siamo, o addirittura abbiamo evitato di sapere.
 
Forse la vera autenticità consiste nel riconoscere e accettare l'incoerenza e l'ambivalenza (o ambiguità) delle nostre identità.
 
La televisione non fa altro che presentarci continuamente modelli di comportamento da imitare e altri da non imitare.
 
Diventa ciò che sei!
 
Una cattiva specie di vulnerabilità è prodotta dal mostrarci diversi da chi siamo.
 
Chi sono? Un essere umano che cerca di capire come funziona.
 
«Io adesso» è lo stesso di «io ieri», e lo stesso di «io domani»? O siamo oggetti diversi accomunati da una certa memoria e da certe caratteristiche fisiche?
 
Da cinquant'anni si è accumulato un immenso sapere sull'umano, sulle sue origini, sulla sua natura, sulle sue complessità. Ma questo sapere è disperso, parcellizzato e compartimentato fra tutte le scienze, e l'impotenza o l'incapacità di riunire questo sapere mantiene un'immensa ignoranza sulla nostra stessa identità.
 
Essere se stessi in un mondo che costantemente cerca di farti diventare qualcun altro è l'impresa più grande.
 
... il mistero del tempo si interseca con il mistero della nostra identità personale, con il mistero della coscienza.
 
Dobbiamo imparare a distinguere ciò che ci piace per le sue qualità intrinseche da ciò che ci piace perché contribuisce a darci una identità sociale desiderabile.
 
L'inizio del "Sempre" è più tremendo della fine – perché è sostenuto da una vacillante identità.
 
Orgoglio e superbia sono dovuti soprattutto ad una sopravvalutazione del proprio talento, della propria intelligenza e della propria importanza. È bene ricordarci che siamo tutti sostituibili (e saremo immancabilmente sostituiti) nel breve o medio termine.
 
A volte vorrei essere un altro, ma la persona che vorrei essere non è mai esistita. In realtà vorrei essere tutti e nessuno.
 
Le interazioni tra umani dipendono dalle loro identità sociali assunte, presunte o attribuite.
 
Nessuno è uguale a se stesso per più di un istante. Tuttavia ognuno ha certe somiglianze con le persone che è stato.
 
L'identità sociale di un individuo è stabilita non da esso stesso ma dalle persone con cui interagisce. Perciò, un individuo insoddisfatto dell'identità che gli viene attribuita dalle persone che frequenta, farebbe bene a frequentare persone diverse, che possano attribuirgli identità più soddisfacenti.
 
Ogni cosa che facciamoci ci qualifica come appartenenti alla categoria di persone che fanno quella cosa.
 
Ognuno ha bisogno di essere riconosciuto come appartenente a certe comunità, classi o categorie, e come posizionato ad un certo livello di certe gerarchie sociali.
 
Gli attori ci affascinano e ci sembrano divini perché sono capaci di cambiare identità volontariamente.
 
È normale essere anomali.
 
Io sono ciò che penso, ciò che sento e ciò che voglio.
 
I nostri pensieri sono influenzati da ciò che siamo, e ciò che siamo è influenzato dai nostri pensieri.
 
Dimmi di cosa ridi e di cosa non ridi e ti dirò chi sei.
 
Se io fossi in grado di scegliere liberamente, consciamente, razionalmente, volontariamente la mia identità sociale, quale mi converrebbe scegliere?
 
Chi sono? Un esemplare della specie umana, e rifiuto ogni altra etichetta.
 
Scrivo, dunque sono.
 
"Essere se stessi" è un non senso perché noi siamo comunque il risultato delle nostre interazioni sociali, quindi siamo sempre, in un certo senso, "gli altri", ovvero quelli che ci hanno formato, cioè l'altro generalizzato (termine coniato da George H. Mead). Non ha quindi senso cercare il proprio "vero sé", mentre ha senso scegliere le persone con cui interagire in modo che siano adatte al proprio temperamento genetico.
 
Siamo tutti prigionieri delle nostre identità sociali.
 
L'identità di un uomo consiste nella coerenza di ciò che fa e di ciò che pensa.
 
Nietzsche diceva: diventa ciò che sei. Il problema è sapere ciò che si è.
 
[...] l'abitante di un paese ha almeno nove caratteri: carattere professionale, carattere nazionale, carattere statale, carattere di classe, carattere geografico, carattere sessuale, carattere conscio, carattere inconscio, e forse anche privato, li riunisce tutti in sé, ma essi scompongono lui, ed egli non è che una piccola conca dilavata di quei rivoli, che v'entrano dentro e poi tornano a sgorgare fuori per riempire insieme ad altri ruscelletti una conca nuova. Perciò ogni abitante della terra ha ancora un decimo carattere, e questo altro non è se non la fantasia passiva degli spazi non riempiti; [...]
 
L'uomo è sempre impegnato ad affermare e confermare la propria identità sociale, sia mentre interagisce con altri, sia quando è solo, in attesa dei prossimi incontri.
 
L'uomo non deve sopravvivere solo fisicamente, ma anche psichicamente. Ha bisogno di conservare un certo equilibrio psichico per non perdere la capacità di funzionare; per l'uomo ogni elemento necessario alla conservazione del suo equilibrio psichico ha la stessa importanza vitale di quel che serve al suo equilibrio fisico. Per prima cosa, l'uomo ha un interesse vitale a conservare il proprio schema di orientamento. Da esso dipendono la sua capacità di agire e, in ultima analisi, il suo senso di identità. Se altri mettono in dubbio il suo schema di orientamento con le loro idee, reagirà a tali idee come a una minaccia vitale. Potrà razionalizzare questa reazione in diversi modi. Dirà che le nuove idee sono intrinsecamente «immorali», «incivili», «pazze» o qualsiasi altro aggettivo possa scegliere per esprimere la sua ripugnanza, ma questo antagonismo in realtà si forma perché «lui» si sente minacciato.
 
Conosci te stesso! Ottima cosa, ma per riuscirci non basta volerlo. Chi vuole conoscere se stesso deve fare un percorso complicato e difficile, in cui ci si può anche perdere o ingannarsi. A tale scopo è indispensabile l'aiuto di altre persone (dal vivo o mediante libri), e trovare le persone giuste è una questione di fortuna.
 
Quando qualcuno ti chiede: “Chi sei?” e tu rispondi: “Sono un ingegnere”, dal punto di vista esistenziale la tua risposta è errata. Come potresti mai essere un ingegnere? L’ingegnere è ciò che fai, non è ciò che sei. Non chiuderti troppo nell’idea della funzione che svolgi, perché vorrebbe dire chiudersi in una prigione.
 
Ognuno cerca di dare agli altri una certa immagine di sé e delle proprie intenzioni, che corrisponde più o meno alla verità.
 
Noi siamo le maschere che indossiamo. Senza una maschera non siamo nessuno, non esistiamo.
 
La grande importanza che gli umani, per identificare una persona, hanno sempre dato ai suoi possedimenti (sin da quando esiste la proprietà privata) è testimoniata dal fatto che i nomi dei nobili venissero comunemente trasformati in quelli dei loro possedimenti, preceduti dalla particella "di", "de", "von" ecc. (a seconda della lingua), spesso anche senza. Per esempio, Camillo Benso, conte di Cavour, è più spesso chiamato semplicemente Cavour.
 
La storia di ciascuno ha avuto inizio da un miscuglio casuale di geni.
 
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