Tra due persone e tra due culture ci sono somiglianze e differenze. È sbagliato vedere differenze o somiglianze che non ci sono, e non vedere differenze o somiglianze che ci sono.
Così come in musica ci sono musicisti virtuosi, altri mediocri, e persone stonate, così in tutte le altre attività della vita umana, tra cui quella di pensare.
Che ci siano differenze tra umani è indiscutibile. Discutibili sono invece la natura, l'origine e gli effetti di tali differenze, specialmente da un punto di vista civile e morale.
L'espressione "immunità di gregge", così spesso ricorrente ai tempi del coronavirus, mi fa pensare al concetto nietzschiano di gregge. A tal proposito, mi diverte pensare che gli esseri umani potrebbero essere divisi in cinque grandi categorie: pecore, pastori, cani da pastore, cani randagi e animali extraterrestri. Io mi collocherei nell'ultima categoria, con occasionali metamorfosi in tutte le altre.
Per ottenere uno stesso bene, certe persone debbono pagare, in denaro, in fatica o in umiliazioni, molto più di certe altre. Così si misura la disuguaglianza sociale.
Lei non ha capito niente perché è un uomo medio. Un uomo medio è un mostro, un pericoloso delinquente, conformista, razzista, schiavista, qualunquista.
È difficile parlare di differenze umane senza finire per parlare di superiorità e di inferiorità. È anche difficile avere opinioni diverse senza finire per parlare di superiorità o inferiorità di un'opinione rispetto ad un'altra.
Le differenze più importanti tra gli umani sono costituite dalle rispettive valutazioni, ovvero dalle cose e persone che ciascuno trova attraenti o repellenti, e dalla misura delle valutazioni stesse.
Le differenze umane si possono dividere in due categorie: quelle di origine genetica e quelle di origine culturale. Le prime sono per lo più impossibili da eliminare o da ridurre, le seconde sono, almeno in teoria, eliminabili, riducibili o incrementabili. L'importante, in tutti i casi, è riconoscere tali differenze. Chi non vede le differenze e chi non ne sa stabilire le origini, non può giudicare saggiamente i comportamenti umani.
Coloro che non si conformano ai costumi della propria comunità sono soggetti ad una paura inconscia dell'isolamento sociale che può essere alleviata solo mediante la partecipazione a riti di appartenenza reali o immaginari. La vita di queste persone oscilla tra l'affermazione delle loro differenze e il senso di colpa per essersi diversi.
Avendo un fisico più debole e più fragile rispetto alla media dei maschi della mia specie, nella cooperazione e competizione sociale ho preferito investire e puntare soprattutto sulla mia intelligenza, a differenza di altri che hanno investito principalmente sulla loro forza, la loro salute, la loro bellezza, la loro ricchezza, la loro conformità rispetto ai modelli culturali prevalenti, ecc.
Più una persona cresce moralmente e intellettualmente, più aumenta la sua differenza rispetto a coloro che non crescono nella stessa misura. Per questo molti, che desiderano soprattutto essere normali, rinunciano a crescere.
Finché il «diverso» vive la sua «diversità» in silenzio, chiuso nel ghetto mentale che gli viene assegnato, tutto va bene: e tutti si sentono gratificati della tolleranza che gli concedono. Ma se appena egli dice una parola sulla propria esperienza di «diverso», oppure, semplicemente, osa pronunciare delle parole «tinte» dal sentimento della sua esperienza di «diverso» si scatena il linciaggio, come nei più tenebrosi tempi clerico-fascisti. Lo scherno più volgare, il lazzo più goliardico l’incomprensione più feroce lo gettano nella degradazione e nella vergogna.
Ci sono testi che, sebbene io trovi sgradevoli, inutili o dannosi, piacciono a certe persone. Come possiamo giustificare queste differenze di gusti e di opinioni? Qualcuno ha gusti o opinioni erronei? Qualcuno sbaglia ad apprezzare certe idee? Se adottiamo il principio che i gusti e le opinioni non siano discutibili e quindi non siano mai "errati", non rischiamo di avallare tendenze decadenti, asociali o distruttive negli individui e nella società?
Le persone si possono classificare secondo un continuum ai cui estremi ci sono l'intellettuale e il muscolare. Il primo preferisce scommettere sulla capacità e la bellezza dell'intelligenza, il secondo sulla forza e la bellezza fisica.
Le nostre scelte, le nostre preferenze, le nostre espressioni, i nostri comportamenti, ci qualificano agli occhi degli altri in quanto rivelano un certo grado di affinità o di differenza rispetto a loro che può suscitare un certo grado di simpatia o antipatia, attrazione o repulsione.
Si fa presto a dire «sii te stesso». Ma se quel te stesso è troppo diverso dagli altri, tanto che quelli non sono in grado di capirlo, e lo disapprovano perché lo fraintendono, allora, se non vuoi restare solo, devi nascondere agli altri ciò che sei veramente, e dire e fare solo cose che gli altri possono capire e approvare.
Ogni essere umano ha interiormente una mappa del mondo, un vocabolario, un'enciclopedia, un'epistemologia, attrazioni, repulsioni e motivazioni più o meno originali o copiate da altri.
L'introverso è più lento dell'estroverso perché è meno spontaneo, ovvero perché si chiede più volte, prima di parlare o agire, se ciò che potrebbe dire o fare sia giusto o ingiusto, morale o immorale, appropriato o inappropriato, pertinente o impertinente, bello o brutto, utile o inutile, sicuro o pericoloso, buono o cattivo per sé e per gli altri.
Una causa di infelicità è il non essere la persona che si vorrebbe essere. Ma perché un essere umano vorrebbe essere diverso da ciò che è? Forse perché si illude che se fosse diverso (nel senso di una certa diversità) gli altri lo rispetterebbero o lo amerebbero maggiormente.
La realtà è fatta di tantissime cose e ognuno di noi dà più importanza, e di conseguenza più attenzione, ad alcune piuttosto che ad altre. Questa differenza di importanze differenzia gli umani e rende difficile la loro comunicazione e cooperazione.
Il disaccordo tra due persone non è quasi mai dovuto alla constatazione di errori di logica nella narrazione altrui, ma nel confronto tra logiche inconfrontabili in quanto partono da presupposti diversi qualitativamente e quantitativamente.
Il problema non è il sentirsi superiori (anche perché non siamo tutti allo stesso livello in tutti i campi) ma il ritenere che chi è inferiore debba obbedire a chi è superiore e pensare, ragionare e sentire come lui. L'obbedire al superiore (ma non il pensare, ragionare e sentire allo stesso modo) è giusto solo nelle organizzazioni in cui è indispensabile il rispetto della gerarchia e della disciplina, come, ad esempio, nelle forze armate, nelle scuole e nelle organizzazioni pubbliche e private.
L'errore più comune che spesso facciamo è supporre che gli altri ragionino come noi, che reagiscano emotivamente come noi, che abbiano simili principi morali, simili interessi, simili motivazioni e simili paure, che sappiano ciò che noi sappiamo, che soffriamo e godiamo per motivi simili, che le nostre menti siano simili. È come credere che tutti i computer siano simili. In effetti tutti i computer sono simili per quanto riguarda i principi generali di funzionamento, ma molto diversi tra loro nei materiali (hardware) e nei programmi (software), ovvero nelle "applicazioni".
I gruppi sociali si differenziano, tra l'altro, per il grado di complessità e di astrazione del modo di pensare dei propri membri (che si riflette nella quantità e nella qualità delle parole che questi conoscono e usano nel pensare e nel comunicare), e per il loro grado di interesse verso particolari campi culturali come la scienza, la tecnologia, la letteratura, la storia, la filosofia, la psicologia, la politica, l'economia, l'ecologia, le piante, gli animali, l'arte, lo sport, la musica, la religione, la morale, il cibo, la sessualità, le droghe, la moda, l'arredamento, il turismo, i mass media ecc.