Non appena A sospetta che B sia suo nemico, A diventa nemico di B, e perde ogni obiettività nel giudicarlo. Da quel momento A si arma contro B e il suo bias cognitivo trova in B ogni possibile colpa per dimostrare l'inimicizia di B verso A e giustificare quella di A verso B. Questo atteggiamento è reciproco, e dà luogo ad uno scambio di calunnie e di colpi bassi.
La dialettica è un gioco di logica. Ci sono i giocatori e gli spettatori, e quelli che non amano giocare con la logica, i quali vanno a fare o a vedere altri giochi per loro più congeniali.
Dare ragione a qualcuno con cui c'è stata una discussione dialettica significa dichiararsi a lui intellettualmente inferiore, almeno per quanto riguarda il contesto della discussione. Per questo (dato che ognuno teme la propria inferiorità) è così raro che qualcuno ammetta di aver avuto torto nei confronti di un altro.
Alla fine del conflitto il mio schieramento o quello avverso dominerà l'altro, a meno che la guerra non venga fermata. Ma se fermarla è impossibile, allora devo scegliere se combattere (e in quale campo) o stare fuori dalla mischia aspettando di conoscere il vincitore.
Il disaccordo è sempre una disgrazia. Se tutti gli umani fossero d'accordo sulla visione del mondo e della società, la vita sociale sarebbe molto più gradevole e meno difficile. Non ci sarebbero conflitti politici, ideologici, né religiosi, e ci sarebbe un fondamentale rispetto reciproco, pur con differenze di ruolo e di posizioni gerarchiche sulle quale ci sarebbe comunque un accordo.
Succede comunemente che uno trovi errori e/o falsità nelle idee di un altro solo perché non le capisce, e/o perché non riesce a sopportarne le conseguenze emotive.
I conflitti nascono "naturalmente" sia dallo "status game" (a cui nemmeno i santi sono immuni), sia dal fatto che abbiamo idee, priorità, interessi e bisogni diversi. Perciò, in un certo senso ed in una certa misura, la presenza di conflitti è un segno di buona salute, sia dell'individuo che del gruppo in cui interagisce.
Ci sono persone che hanno una tale paura (conscia o inconscia) dei conflitti, che non solo cercano di evitarli, cioè essere coinvolte in un conflitto, ma in certe situazioni nemmeno li vedono nonostante i segni evidenti della loro presenza.
Vivere in conflitto con il proprio tempo è un privilegio. In ogni momento si è coscienti di non pensare come gli altri. Questo stato di discordanza acuto, per quanto indigente, per quanto sterile sembri, possiede tuttavia uno statuto filosofico, che si cercherebbe invano nelle cogitazioni armonizzate con gli eventi.
I complessi, le ossessioni, le nevrosi di cui soffrono gli adulti hanno la loro radice nel passatofamiliare; i genitori che hanno i loro conflitti, i loro problemi, i loro drammi, sono la compagnia meno desiderabile per il bambino.
Io desidero prima di tutto che le mie idee vengano capite, anche se non vengono condivise. Ma ho spesso l'impressione che chi non condivide le mie idee non le condivide perché non le ha capite, non perché abbia trovato in esse degli errori o delle falsità.
La vita umana è caratterizzata da una quantità di conflitti esistenziali e sociali che la rendono difficile e che impongono continuamente scelte rischiose e dolorose: appartenenza vs. libertà, cooperazione vs. competizione, imitazione vs. differenziazione, uguaglianza vs. diversità, responsabilità vs. irresponsabilità, impegno vs. disimpegno, accoglienza vs. rigetto, approvazione vs. critica, tolleranza vs. punizione, fiducia vs. diffidenza, obbedienza vs. ribellione, cambiamento vs. mantenimento, ecc.
In questi giorni sto riflettendo sulle relazioni tra morale, competizione, conflitto, reazioni aggressive ecc. La buona gestione degli inevitabili conflitti (compresi quelli cognitivi) è importante per la buona vita. A mio parere, per ben gestire un conflitto bisogna salire di livello logico e ragionare in termini metaconflittuali. Rinunciare a confliggere non mi sembra utile.