Citazioni su éthique

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Un problema della morale è che nessuno accetta di essere considerato immorale rispetto agli altri (cioè rispetto ad un impegno preso esplicitamente o implicitamente con altre persone). Alcuni credenti si considerano facilmente immorali rispetto a Dio, ma difficilmente rispetto ad altre persone.
 
Il tema dell'etica/morale è scottante perché consciamente o inconsciamente abbiamo tutti (o quasi) paura di essere giudicati immorali, e come tali emarginati. Perciò molti preferiscono non parlarne o liquidarlo citando il famoso "non fare ad altri...". Fare l'esame di coscienza è rischioso e complicato. Per i più è meglio parlare d'altro e fare altro.
 
Io penso che la sistematica o prolungata sospensione del giudizio (intellettuale e morale) pubblicamente espresso, sempre più in voga a tutti i livelli, sia una delle principali cause del declino (intellettuale e morale) della nostra civiltà. Siamo passati da un estremo all'altro, da un moralismo becero e bigotto ad un amoralismo sistematico, cioè all'idolatria della libertà di fare e di non fare, di pensare e di non pensare, di dire e di non dire, quello che ci pare, insomma, di farci solo i fatti nostri.
 
I mezzi giustificano il fine.
 
Quello che c'è di scandaloso nello scandalo, è che ci si abitua.
 
Omnia munda mundis. [Tutto è puro per i puri]
 
Io considero immorale non occuparsi della morale.
 
Accusare ingiustamente qualcuno di violenza è un atto di violenza.
 
Ognuno adotta i principi morali che lo assolvono.
 
Per il progresso civile e morale occorre sostituire il senso di colpa con il senso di responsabilità.
 
Ogni umano può, in una certa misura e in certe condizioni, soddisfare e/o frustrare ogni altro umano, ma non tutti gli altri umani. Deve decidere chi soddisfare e chi frustrare, in quale misura e in quali modi, e cosa fare e cosa non fare per ottenere soddisfazioni ed evitare frustrazioni da parte degli altri. Questa proposizione potrebbe costituire il fondamento di un'etica.
 
Sulla Terra ci sono miliardi di persone. Non possiamo seguire né con gli occhi, né col pensiero le vite di tutti, la maggior parte delle quali sappiamo essere, a dir poco, miserabili. Dirigiamo allora la nostra attenzione dove la vista ci dà più piacere e meno dolore, e ci dimentichiamo dei più sventurati. Infatti la loro vista ci rattrista e noi non vogliamo essere tristi.
 
Esiste davvero l'altruismo puro? Si può mai separare il fare del bene dall'aspettativa di reciprocità, dal plauso pubblico, dall'autostima o dalla promessa del paradiso?
 
L'esser beccaio [macellaio] debba essere stimata un'arte ed esercizio più vile che non è l'esser boia [...] perché questa si maneggia pure in contrattar membri umani, e talvolta administrando alla giustizia; e quello ne gli membri d'una povera bestia, sempre amministrando alla disordinata gola, a cui non basta il cibo ordinato dalla natura, più conveniente alla complessione e vita dell'uomo (lascio l'altre più degne raggione da canto).
 
Non è necessario avere una religione per avere una morale. Perché se non si riesce a distinguere il bene dal male, quella che manca è la sensibilità, non la religione.
 
Vorremmo che gli altri si preoccupino del nostro benessere, ma noi ci preoccupiamo del loro?
 
Ci sono due modi per non sentirsi immorali: il primo consiste nel comportarsi moralmente, il secondo nel negare il valore di qualsiasi giudizio morale.
 
Ognuno è giudice e potenziale imputato.
 
Anche quando siamo fisicamente soli, non lo siamo mai virtualmente. Per il nostro inconscio siamo sempre osservati e giudicati da altri. Siamo dunque virtualmente sempre in compagnia di altre persone, ed è importante capire chi esse siano e quali siano i loro criteri di giudizio (ovvero la loro morale) e quanto abbiamo bisogno della loro approvazione. Questo dovrebbe essere il compito di una psicoterapia.
 
È buona cosa ostacolare chi commette un'ingiustizia. Se non si riesce a fare questo, è buona cosa non commettere ingiustizie insieme a lui.
 
Infliggere crudeltà in buona coscienza è una delizia per i moralisti. Perciò hanno inventato l'inferno.
 
Quando vediamo tutto il bene da una parte e tutto il male da un'altra, ci inganniamo e inganniamo chi ci ascolta.
 
Ogni essere umano è innocente e colpevole allo stesso tempo. Il grado di colpevolezza dipende dal tipo di morale che si vuole applicare.
 
La vergogna è un sentimento fondamentale. Vergogna viene da vere orgognam: temo l'esposizione. Oggi l'esposizione non la si teme più. E allora cosa succede: se io mi comporto in una modalità trasgressiva, bè che male c'è. Vado incontro ai desideri nascosti di ciascuno di noi e li espongo, quanto son bravo. E allora a questo punto non sono più visibili con chiarezza i codici del bene e del male. C'era Kant che diceva che il bene e il male ognuno le sente naturalmente da sé, usava la parola sentimento.
Oggi non è più vero. Semplicemente se uno ha il coraggio anche di mostrarsi vizioso, se ha il coraggio anche di mostrarsi trasgressivo è un uomo di valore, almeno lui ha il coraggio, ha interpretato i sentimenti nascosti di ciascuno di noi. Questo ormai significa, non dico il collasso della morale collettiva, ma persino di quella individuale, quella interna, quella psichica. Quindi la fine dei tempi.
 
Da bambino pensavo che le persone "brutte" fossero anche cattive. Colpa di Walt Disney?
 
Promettiamo in base alle nsotre speranze e manteniamo in base ai nostri timori.
 
Suppongo possa essere utile guardarsi intorno (fuori e dentro di sé) e di ogni cosa o idea che si vede o che viene in mente chiedersi: A chi e perché potrebbe servire? A chi e perché potrebbe nuocere?
 
La morale è fatta per gli uomini, non gli uomini per la morale. Questa è un'altra frase di Kant che fa, che riproduce esattamente con un altro linguaggio quello che Gesù Cristo aveva detto: il sabato è fatto per gli uomini, non gli uomini per il sabato. Cioè: guai a piegare l'uomo alla legge e assumere la legge come giudizio nei confronti dell'uomo, perché quello che c'è da salvare non è il principio della legge, quello che c'è da salvare è l'uomo.
 
Nell'arco di tre secoli la scienza, fondata sul postulato di oggettività, ha conquistato il suo posto nella società: nella pratica ma non nelle anime. Le società moderne sono costruite sulla scienza. Le devono la loro ricchezza, la loro potenza e la certezza che ricchezze e potenze ancora maggiori saranno in un domani accessibili all'uomo, se egli lo vorrà [...]. Le società moderne hanno accettato le ricchezze e i poteri che la scienza svelava loro, hanno appena inteso ma non accettato il messaggio più profondo della scienza: la definizione di una nuova e unica fonte di verità, l'esigenza di una revisione totale delle basi dell'etica...
 
Lo scopo della morale consiste nel permettere alla gente di infliggere sofferenze senza rimorso.
 
Ci si interessa di morale per poter fare ciò che si desidera evitando di essere disapprovati da qualcuno.
 
Una coscienza moralista può essere manipolata da un inconscio mosso da motivazioni inconfessabili.
 
Non dobbiamo stabilire cosa sia bene o male in assoluto, ma di ogni cosa, di ogni opzione, capire per chi, dove e quando e in quale misura lo sia. Perché ciò che è buono per me ora potrebbe essere cattivo in un altro momento o in un'altra situazione, o per un'altra persona.
 
Il senso del dovere è una mistificazione. Infatti le cose le facciamo perché dal farle ci aspettiamo un piacere o perché dal non farle ci aspettiamo un dolore.
 
L'etica è l'arte di raccomandare agli altri i sacrifici richiesti per cooperare con noi stessi.
 
Ognuno adotta la morale che gli conviene.
 
In verità non devi nulla a nessuno. Devi tutto a tutti.
 
Un'etica non condivisa è come un contratto firmato da una sola parte, e impegna solo chi la segue.
 
In ogni momento ogni essere umano deve stabilire (consciamente o inconsciamente) il grado ottimale di altruismo a cui attenersi a seconda delle circostanze, sapendo che troppo egoismo comporta il rigetto, e troppo altruismo lo sfruttamento, da parte degli altri. La difficoltà di tale compito è fonte di stress mentale e fisico, e comporta una certa mistificazione delle proprie reali motivazioni e intenzioni.
 
Della disillusione siamo responsabili noi adulti, che, aderendo incondizionatamente al "sano realismo" del pensiero unico incapace di volare una spanna oltre il business, il profitto e l'interesse individuale, abbiamo abbandonato ogni vincolo di solidarietà, ogni pietà per chi sta peggio di noi, ogni legame affettivo che fuoriesca dallo stretto ambito familiare. Inoltre abbiamo inaugurato una visione del mondo che guarda alla terra e ai suoi abitanti solo nell'ottica del mercato.
 
Colpevoli o innocenti, volontari o involontari, siamo comunque la causa dei mali della società, per tutto ciò che facciamo e ancor più per tutto ciò che non facciamo.
 
Quello che è successo durante il nazismo non è stato capito dai più e per questo potrebbe ripetersi. L'umanità non è ancora vaccinata contro certi mali.
 
Per giustificare la nostra immoralità cerchiamo di dimostrare che gli altri sono più immorali di noi.
 
Sempre più persone, per non sentirsi in colpa, affermano che la colpa non esiste, che nessuno è colpevole, che il giudizio morale non ha senso, e che nessuno dovrebbe giudicare moralmente, né gli altri, né se stesso.
 
Contro il vizio di chiedere c’è la virtù di non dare.
 
I più dicono che il male fa male e che il bene fa bene, e ignorano il perché del bene e il perché del male.
 
Imita il prossimo tuo migliore di te. Questo potrebbe essere il motto di una nuova, e apparentemente semplice etica. Tuttavia il significato di “migliore” (cioè di "buono") è vago e soggettivo. Per di più si tratta di un aggettivo comparativo e gli umani non amano essere giudicati e tanto meno confrontati con altri se c’è il minimo rischio che il giudizio sia loro sfavorevole. Il risultato di questa impasse etica è che ciascuno pensa di essere quanto di meglio possa diventare, di fare quanto di meglio possa fare, e non è spinto a migliorare e a fare meglio. Di conseguenza la società non migliora eticamente a meno che non vi sia costretta da forze politiche o religiose, o da un aumentato benessere materiale, dal momento che l’egoismo e la malvagità sono direttamente proporzionali alla scarsità di risorse disponibili per tutti.
 
C'è bisogno delle sacre scritture per imparare che dobbiamo aiutarci l'un l'altro? Dobbiamo farlo perché ce lo chiede un rappresentante di Dio? Non riusciamo a capirlo da soli con la nostra intelligenza? Dobbiamo farlo perché se non lo facciamo andiamo all'inferno? Io ritengo che possiamo e dobbiamo emancipare la nostra etica dalle religioni. Siamo abbastanza intelligenti per costruire un'etica non basata su favolose rivelazioni divine ma sul buon senso e sulla scienza.
 
Denunciare comportamenti immorali è un dovere morale.
 
Un essere umano non può decidere razionalmente cosa sia buono o cattivo, piacevole o spiacevole, bello o brutto, per se stesso e tanto meno per gli altri. È la natura che lo decide, e un essere umano può solo cercare di capire cosa la natura abbia deciso a tal proposito per sé, e cosa per gli altri.
 
Io penso che coloro che sconsigliano pubblicamente (direttamente o indirettamente) la vaccinazione anticovid siano moralmente responsabili delle morti e di gravi problemi di salute di persone che hanno rifiutato di farsi vaccinare in quanto influenzate in tal senso.
 
Se mi obbedisci sarai premiato, se mi disobbedici punito. Questo è il nucleo di ogni religione, tradizione, ideologia, etica.
 
Quando si parla di morale è facile farsi dei nemici tra coloro che non sono assolti dalla morale che si intende promuovere.
 
I rifiuti di un popolo e il modo in cui vengono trattati sono indice del suo livello di civiltà, intelligenza e moralità.
 
Quando si parla di morale, lo si fa normalmente solo in modo superficiale, anzi, banale, perché se lo si facesse in modo approfondito e non convenzionale, ognuno di noi si troverebbe in difficoltà.
 
In ogni condanna che rivolgiamo agli altri c'è un volgare rigurgito di innocenza per noi stessi guadagnato a poco prezzo.
 
Il male è doppiamente male quando è nascosto, triplamente quando viene fatto passare per bene.
 
La morale dei forti è incompatibile con quella dei deboli.
 
In che misura abbiamo contribuito a causare le sofferenze altrui? In che misura possiamo alleviarle? In che misura consideriamo nostro dovere alleviarle? In che misura ci interessa alleviarle? In che misura le riteniamo giuste o meritate? In che misura ne godiamo? In che misura consideriamo nostro dovere porci queste domande?
 
Il bene è cooperazione e sincerità. Il male violenza e inganno. Tra il bene e il male c'è la competizione, che può essere buona o cattiva. Quella buona rispetta regole convenute, quella cattiva è sregolata.
 
Il giudizio morale è la base dell'etica, perciò chi non giudica è immorale.
 
Il problema non è tanto ciò che facciamo, quanto ciò che non facciamo.
 
La sospensione del giudizio morale è pericolosa perché potrebbe indurci a comportarci in modo immorale.
 
Oggi, quando si parla di morale, lo si fa, prevalentemente, solo per relativizzarla e svalorizzarla. Non sento mai parlarne in modo costruittivo, cioè al fine di costruire una morale alternativa.
 
Se l'ignoranza e la passione sono i nemici della moralità nel popolo, bisogna anche confessare che l'indifferenza morale è la malattia delle classi colte.
 
Astieniti dalle colpe non per paura ma perché si deve.
 
Verrà un giorno in cui l'idea che per nutrirsi gli uomini del passato allevavano e massacravano degli esseri viventi, mettendo in mostra nelle vetrine le loro carni dilaniate, ispirerà senza dubbio la stessa repulsione provata dai viaggiatori del XVII e XVIII secolo nei confronti dei pasti cannibalici dei selvaggi americani, africani, o dell'Oceania.
 
Si cerca sempre di dare agli altri la colpa del fallimento della cooperazione.
 
Accusare di ostilità chi non è ostile è un atto ostile che vuole giustificare se stesso.
 
Se offrissi ad un cane la possibilità di diventare magicamente un essere umano, lui non l'accetterebbe. Lo stesso vale per la maggioranza degli umani a cui offrissimo la possibilità di diventare, magicamente, migliori in senso morale e intellettuale.
 
Parlare di morale mica t'impegna a niente. Ti fa fare bella figura, ti dissimula. Tutti i pezzi di merda sono gran predicatori! Più sono bacati e più parlano! E adulatori, poi! Ciascuno per sé!...
 
Il peccato è una disobbedienza o un tradimento. Il senso di colpa che ne deriva è la paura inconscia della punizione da parte della società e dell'eventuale divinità.
 
L’unica moralità dello scrittore è la conoscenza.
 
L'etica laica si fonda non sull'obbedienza agli editti di questa o quella divinità, ma piuttosto su una comprensione profonda della sofferenza. Per esempio, i laici si astengono dal commettere omicidio non perché alcuni libri antichi lo vietano, ma perché uccidere infligge una sofferenza immensa agli esseri senzienti. C'è qualcosa di profondamente problematico e pericoloso negli individui che evitano di uccidere soltanto perché "lo dice Dio". Costoro sono motivati dall'obbedienza più che dalla compassione, e ci si chiede cosa farebbero se qualcuno li inducesse a credere che il loro dio ordina di bruciare gli eretici, mandare al rogo le streghe, lapidare gli adulteri o uccidere gli stranieri.
 
Chiedi a una persona come affronterebbe un certo problema o conflitto e dalla risposta ti farai un’idea della sua intelligenza, della sua cultura e della sua moralità.
 
Chi cede sempre davanti al denaro, non sarà mai uomo giusto.
 
Se fossimo tutti uguali e avessimo tutti gli stessi gusti, la morale sarebbe molto più facile da capire e da applicare, in quanto avremmo tutti la stessa.
 
È facile essere onesti quando non si ha la possibilità di delinquere o di governare.
 
Tutto ciò che avviene è, in un certo senso, giusto, anche le cose che ci addolorano o irritano, in quanto obbediscono alle leggi della natura. Potremmo dire che le leggi della nature siano ingiuste, ma dovremmo specificare rispetto a chi o a cosa, e perché. Nasciamo forse con qualche diritto naturale? Non esistono diritti naturali. I diritti si chiedono, affermano e concedono solo nella società e riguardano solo i rapporti sociali.
 
Ognuno dovrebbe chiedersi: "Se io non fossi mai nato, le persone con cui ho interagito sarebbero state più o meno felici?"
 
Uno non può stabilire quanto un’azione sia immorale senza tener conto di cosa pensano gli altri a tale riguardo. La morale è convenzionale.
 
Quanto a questo io ne ho parlato qualche volta, dicendo che il peccato della carne, parlando in genere, era il minor peccato delli altri.
 
L'etica è basata sul giudizio morale, ovvero sul giudicare se un'azione o un'intenzione è buona o cattiva. Se non giudichiamo gli altri e noi stessi, non applichiamo l'etica, e un'etica non applicata non serve a nulla. Quindi giudicare è un dovere morale. Dunque sospendere il giudizio morale è immorale, o amorale. Il problema allora è giudicare correttamente, con giustizia, con equità, non astenersi dal giudicare (a mio avviso).
 
Quando si parla di morale, tutti hanno paura (consciamente o inconsciamente) di essere qualificati come immorali, o meno morali di altri. Per questo pochi amano parlare di morale.
 
Gli altri sono sempre dentro di noi, ci osservano e ci giudicano in ogni momento. Gli altri, non Dio. La voce della coscienza morale è la voce degli altri interiorizzati.
 
Quando si parla di morale, a molti interessa solo una cosa: non essere accusati di immoralità. Il resto è per loro indifferente.
 
I contemplativi, tralasciando l'aspetto delle cose sensibili, vengono ligati a cose divine; i voluttuosi, col vedere, calano alla provvisione di cose tangibili; i morali sono tratti col godimento dei colloqui.
 
Sia l'egoismo che l'altruismo sono strategie (consce o inconsce) di sopravvivenza e di successo sociale.
 
L’uomo si fa; non è qualcosa di bell’e fatto in partenza; egli si fa scegliendo la propria morale, e la pressione delle circostanze è tale che non può non sceglierne una.
 
Si può fare del male anche senza fare nulla.
 
A chi giova e a chi nuoce ciò che sto facendo?
 
Il bene e il male esistono solo nella mente degli umani.
 
I vittimisti sono vittime di se stessi.
 
Solo ciò da cui dipende la nostra vita o che può essere utilizzato nelle interazioni con gli altri ha un valore.
 
L'etica deve formarsi nelle menti a partire dalla coscienza che l'umano è allo stesso tempo individuo, parte di una società, parte di una specie.
 
Non credo nell'immortanlità della persona, e considero l'etica una questione esclusivamente umana, senza alcuna autorità soprannaturale.
 
Io cerco di distinguere il bene dal male, non i buoni dai cattivi; ma a volte la prima distinzione comporta la seconda.
 
L'invidia è la faccia nascosta del senso di giustizia.
 
OK: due lettere per indicare il bene; KO: due lettere per indicare il male; OKKO quattro lettere per indicare la potenzialità di bene e male in ogni cosa. Ogni cosa è OKKO.
 
Nel bilancio morale ognuno pensa di aver dato più di quanto abbia ricevuto.
 
Non solo l'uomo fa di necessità virtù, ma gli immorali fanno virtù dell'immoralità, gli stupidi della stupidità e gli ignoranti dell'ignoranza.
 
Una morale completamente soggettiva non è una morale, è solo una personale strategia di vita. La morale (e il conseguente giudizio morale) riguarda regole di comportamento condivise tra almeno due persone.
 
Se la società è miserabile, non è colpa degli atti criminali (che sono una minoranza degli atti umani), ma dell'idea molto diffusa che la morale debba consistere solo in divieti e non in obblighi. È facile astenersi dal compiere crimini, difficile fare qualcosa di utile per la società al di là dei propri interessi.
 
Tutto è bene ciò che contribuisce al bene.
 
La giustizia la cerca chi non ha il potere.
 
Non ci sono ladri dove non c'è nulla da rubare.
 
[…] il rispetto altrui conosce un solo fondamento naturale […] che Rousseau scorge, nell'uomo, in «una ripugnanza innata a veder soffrire il suo simile» […]. Infatti l'unica speranza, per ognuno di noi, di non essere trattato da bestia dai suoi simili, sta nel fatto che tutti i suoi simili, e lui per primo, si colgano immediatamente come esseri sofferenti, e coltivino nell'intimo quella attitudine alla pietà che, nello stato di natura, tiene luogo «di legge, di costumi, e di virtù», e senza il cui esercizio cominciamo a capire che, nello stato di società, non può esserci né legge, né costumi, né virtù. Lungi dall'offrirsi all'uomo come un nostalgico rifugio, l'identificazione a tutte le forme della vita, a cominciare dalle più umili, propone dunque all'umanità d'oggi, per bocca di Rousseau, il principio di ogni saggezza e di ogni azione collettiva […].
 
Non esiste il buono e il cattivo, il vero e il falso, ma il soddisfacente e l'insoddisfacente.
 
Per una mente ordinaria è difficile pensare che una persona prevalentemente buona abbia anche degli aspetti cattivi, e viceversa.
 
Il concetto di rispetto è generalmente visto come qualcosa di positivo, di buono. Eppure io credo che rispettare uno che si comporta male, evitare di giudicarlo, di accusarlo, di disprezzarlo, sia qualcosa di negativo, di cattivo, una forma di complicità.
 
Se l'uomo non fosse egoista non ci sarebbe bisogno di una morale.
 
Il fatto che molte azioni che in passato erano considerate morali oggi sono considerate immorali implica che molte azioni che oggi sono considerate morali, in futuro potrebbero essere considerate immorali.
 
Riconoscere i propri torti è poco, bisogna ripararli.
 
La morale è come la magia. Parla in continuazione dell'uomo perfetto, ma non sa cosa sia l'uomo reale.
 
È impossibile parlare di morale senza accusare implicitamente qualcuno di immoralità.
 
Si fa presto a dire "migliorare", ma rispetto a cosa? Cos'è il buono? Cos'è il bene al di fuori dei luoghi comuni e religiosi? Io credo che oggi si parli troppo poco e male dei bisogni umani, del piacere e del dolore (in tutte le loro forme), che secondo me sono la misura di ogni etica e pragmatica. Limitarsi a dire che si tratta di cose soggettive non ci aiuta, anzi ci fa smarrire, ci confonde.
 
Rispettare una persona significa anche riconoscere i suoi limiti e le sue incapacità, ovvero non aspettarsi da essa ciò che non può fare né pensare.
 
Di fronte a qualcuno che soffre, i piu cercano solo di dimostrare di non essere responsabili di quella sofferenza.
 
Basta poco per superare ogni freno morale. È sufficiente qualificare l'altro come disumano, come mostruoso.
 
La gente non ama coloro che cercano di superarla sul piano etico.
 
Qualcuno chiede perdono per il male che ha fatto. Nessuno per il bene che non ha fatto.
 
Ognuno è colpevole del bene che non ha fatto.
 
Si nasce innocenti e si muore colpevoli.
 
La spudoratezza, ormai, nel nostro tempo è diventata una virtù.
 
Leggendo i libri, vi si trovano gli uomini migliori di quanto non siano, perché ogni autore, non mancando di vanità, cerca di far credere d’essere più onesto di quanto non sia, giudicando sempre in favore della virtù. Insomma, gli autori sono personaggi di teatro.
 
Non nasciamo con doveri, non esistono doveri né diritti naturali, ma ci conviene darci dei doveri e dei diritti se non vogliamo che la specie umana si estingua.
 
È proprio di ogni morale considerare la vitaumana come una partita che si può o vincere o perdere, e insegnare all’uomo il modo di vivere.
 
Per me le cose non sono mai buone o cattive in assoluto, ma più o meno utili a qualcuno in un certo momento della sua vita.
 
L'edonismo, specialmente nella forma epicurea, comporta il curarsi del piacere altrui oltre che del proprio, e non solo del piacere fisico ma anche di quello mentale. Infatti il piacere si ottiene soprattutto attraverso una reciproca cooperazione con altri umani. Perciò l'etica edonista è allo stesso tempo egoista e altruista.
 
Il sentimento della gioia è il sentimento propriamente etico.
 
C'è un tempo per ogni cosa. La stessa cosa può essere buona in certi momenti e cattiva in altri. Nulla è sempre buono e nulla sempre cattivo, tranne l'irreparabile.
 
Un personaggio di Dostoevskij dice: «se Dio non esiste allora tutto è permesso». In realtà molte cose ci sono vietate nel senso che se le facciamo qualcuno ci punisce: gli altri, il nostro corpo, la nostra mente, il mondo fisico.
 
La storia della schiavitù dovrebbe farci riflettere sulla natura umana e sulla relatività della morale.
 
Ognuno ha bisogno di sentirsi approvato dal suo Altro generalizzato, che è diverso da quello di ogni altro.
 
Moralità non significa "seguire i precetti divini". Significa "ridurre la sofferenza". Per agire moralmente, non avete bisogno di credere in qualche mito o storia. Avete solo bisogno di sviluppare una precisa percezione della sofferenza. Se davvero capite come un gesto possa provocare inutile sofferenza a voi stessi o agli altri, sarà naturale astenervi dal farlo.
 
Troppo comodo limitarsi a non fare del male. E comunque si può fare del male anche non facendo alcunché.
 
Quando una persona è benefica e umana allora dalla sua azione derivano alla società felicità e soddisfazione. Ciò che è moralmente buono quindi è anche utile e benefico. E crea felicità.
 
È forza che gli doni e grazie sien divisi, a fin che l'uno abbi bisogno dell'altro, e, per conseguenza, l'uno ami l'altro. A chi è concesso il meritare, sii negato l'avere; a chi è concesso l'avere, sii negato il meritare.
 
Quanto al rapportofede-morale, penso che per stabilire una corretta convivenza tra gli uomini la ragione sia in grado di fondare una morale (vedi Kant) indipendentemente dalla fede la quale, come dimostrano il nostro tempo e i tempi trascorsi, concorre più all'ostilità e alla ferocia fra gli uomini che alla loro pacifica convivenza.
 
In assenza di freni morali, ognuno cercherebbe di sfruttare ogni altro.
 
Ogni umano vorrebbe gli altri sottomessi a sé, ai propri interessi, ai propri dèi o ai propri principi morali e accusa di arroganza, ignoranza, stupidità, egoismo, asocialità, insensibilità o malvagità chi non si sottomette. D'altra parte, senza la sottomissione a qualcuno o a qualche regola morale condivisa, la cooperazione durevole tra esseri umani sarebbe praticamente impossibile.
 
Senza leggi etiche ci sarebbe il branco e non la società.
 
Non basta fare del proprio meglio; a volte bisogna fare ciò che le circostanze richiedono.
 
Accusare qualcuno di superbia solo perché non riconosce come vere le nostre ragioni è un vizio più grave della superbia stessa.
 
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